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Dlgs 231/01 Ulteriori riflessioni sulla responsabilità penale

Come è ormai noto con il Decreto Legislativo 8 giugno 2001, n. 231, recante “Disciplina della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni anche prive di personalità giuridica, a norma dell’art. 11 della legge 29 settembre 2000, n. 300”, è stata introdotta nel nostro ordinamento la responsabilità in sede penale degli enti in aggiunta a quella del realizzatore materiale del reato.

Ciò significa che la società può essere condannata ad una pena per il reato commesso da un soggetto legato alla propria compagine, sia esso un amministratore o un semplice lavoratore.

Le sanzioni previste possono essere di natura pecuniaria o interdittiva oltre alla confisca (del prezzo o del provento del reato) ed alla pubblicazione della sentenza di condanna.

Le sanzioni pecuniarie possono variare da un minimo di Euro 25.800,00 (cento quote del valore minimo di Euro 258,00 sino ad Euro 1.549.000,00 (mille quote del valore massimo).

Anche le sanzioni interdittive possono essere di diversa tipologia e gravità e possono riguardare:

  1. l’interdizione dall’esercizio dell’attività;
  2. la sospensione o revoca delle autorizzazioni, licenze o concessioni funzionali alla commissione dell’illecito;
  3. il divieto di contrattare con la pubblica amministrazione;
  4. l’esclusione da agevolazioni, finanziamenti, contributi o sussidi e l’eventuale prestazione di un pubblico servizio;
  5. il divieto di pubblicizzare beni o servizi.

Per il mondo della cooperazione sociale, che prevalentemente lavora in regime di convenzione o comunque con contributi e finanziamenti pubblici, la comminazione di una sanzione interdittiva comporta, sostanzialmente, la fine della cooperativa che in alcuni casi può essere affidata alla gestione di un commissario giudiziale.

L’elenco dei reati per i quali la società può essere chiamata a rispondere penalmente sono molteplici e, come è stato ormai reso noto dall’indagine su MAFIA CAPITALE, più frequenti di quanto ci si potesse immaginare e ciò a scapito anche dei tanti ed incolpevoli soci che rischiano di trovarsi senza lavoro per le scellerate azioni dei loro amministratori.

Il D.Lgs n.231/2001, proprio per evitare che soggetti incolpevoli possano trovarsi a dover subire le conseguenze che il comportamento delittuoso di membri e/o dipendenti della propria società riverberano sulla società stessa, ha previsto espressamente una possibilità di esonero da responsabilità.

Per evitare detta responsabilità l’art. 6 del decreto ha, infatti, previsto la possibilità per l’ente di dimostrare, in occasione di un procedimento penale per uno dei reati considerati, di aver adottato ed efficacemente attuato modelli di organizzazione, gestione e controllo idonei a prevenire la realizzazione degli illeciti penali previsti dalla norma in esame.

Il sistema prevede l’istituzione di un organo di controllo interno all’ente con il compito di vigilare sull’efficacia reale del modello.

Va fatto rilevare che l’esonero dalle responsabilità dell’ente non è automatico per il solo fatto di dichiarare di essersi dotato di un sistema di organizzazione ma passa attraverso il giudizio d’idoneità del sistema interno di organizzazione e controlli, che il giudice penale effettuerà in occasione del procedimento penale a carico dell’autore materiale del fatto illecito.

Ma se sino ad ora abbiamo parlato della 231/2001 dal punto di vista del pericolo del mancato adeguamento, ci sia consentito svolgere alcune ulteriori riflessioni sulla importanza etica che la scelta di adeguarsi rappresenta e ciò proprio alla luce dei recenti accadimenti giudiziari che una oscura ombra hanno gettato sulla cooperazione sociale.

È inutile dire che a fronte delle poche mele marce esistono decine e decine di cooperative che svolgono con serietà ed abnegazione le proprie attività e che magari sono state anch’esse vittime del sistema mafioso oggi svelato, perdendo gare ed appalti perché assegnati ad altri da compiacenti amministratori pubblici, ma che oggi si trovano ad essere anche vittime del clima di sospetto.

Adeguarsi alla 231/2001 e pretendere che le pubbliche amministrazioni prevedano nei bandi e nei capitolati di gara la dimostrazione di tale adeguamento o che comunque considerino tale requisito quale elemento di valutazione della serietà della struttura, rappresenta una seria risposta che la cooperazione sociale può, ed a nostro giudizio deve dare, a quanto oggi reso evidente dalle indagini in corso. Se da una parte la Regione Lazio, con il decreto del commissario ad acta per la prosecuzione del piano di rientro dai disavanzi regionali del settore sanitario n. 183 del 2013, è già andata in questa direzione prevedendo nello schema di contratto l’adozione del modello organizzativo ex D.Lgs n.231/2001 per le strutture assegnatarie di budget superiori ai 200.000,00 Euro, dall’altra si deve pretendere che ciò sia adottato per tutte le attività svolte in convenzione e/o con finanziamento pubblico.

Studio Legale Giangiacomo – Cavallone – Moreschini

Per info mail to: legale@consorziotiresia.org

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