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Riflessioni sul D.Lgs. 231/01: garanzie ed opportunità per le Coop. Sociali

La normativa emanata nel 2001 (D.Lgs. n.231/2001) come disciplina di recepimento di varie convenzioni internazionali anticorruzione ed inizialmente circoscritta ai reati ed agli illeciti nei rapporti tra privati e pubblica amministrazione, si è via via estesa a materie quali i reati societari e finanziari, ai market abuse, ai reati ambientali, ecc., prevedendo un peculiare meccanismo di imputazione della responsabilità nei confronti sia degli enti forniti di personalità giuridica che delle società e delle associazioni prive di personalità giuridica.

In particolare, a seguito della Sentenza della Corte di Cassazione Penale n. 15657/11, l’applicabilità della disciplina di cui al D.Lgs. 231/01 è stata estesa alle persone giuridiche private, alle società di persone, a quelle di capitali, alle associazioni non riconosciute, comprendendo, dunque, anche il settore delle cooperative sociali.

Occorre, pertanto, ai fini dell’esclusione della responsabilità dell’azienda, che la stessa si doti di un “modello certificato” dal quale emergano i requisiti, tra di loro funzionalmente collegati, nonché le metodologie applicative per costruire detto modello, necessario per prevenire l’imputazione della responsabilità e degli eventuali illeciti contemplati dal decreto.

Le aziende, ad oggi, sono dunque poste davanti all’incombenza di applicare il decreto e quindi messe di fronte al dilemma di come gli organi aziendali debbano organizzare, pianificare ed eseguire il proprio intervento e con quali strumenti l’Organismo di Vigilanza, contemplato in detto decreto e fulcro del sistema, debba effettuare la funzione di controllo e di aggiornamento ad esso demandata.

Quanto sopra, purtroppo, è lasciato alla discrezionalità dell’azienda in quanto ad oggi le associazioni di categoria hanno proposto esclusivamente delle linee guida generali di applicazione della “231”, contenenti una mera elencazione di ciò che si deve o non si deve fare senza entrare nel dettaglio e nel merito delle procedure applicabili e senza presentare una metodologia e degli specifici strumenti applicativi che possano “aiutare” l’azienda.

In altre parole, l’azienda dovrà dotarsi di un buon sistema di controllo interno che permetta al management la regolare esecuzione delle procedure aziendali nonché l’azzeramento del “rischio illecito-reato”, previsto dal decreto, mediante l’adozione di un processo di gestione del rischio di carattere dinamico (cambiamenti dell’organizzazione aziendale – ambiente di riferimento e settore nel quale opera) costantemente aggiornato.

Tanto premesso, se da una parte l’adozione del modello certificato si pone come necessario rispetto alla prevenzione degli illeciti cristallizzati nella “231”, dall’altra può rappresentare per l’azienda un’opportunità di crescita e di ottimizzazione delle risorse e degli strumenti di cui è dotata.

Ciò perché, sempre più frequentemente soprattutto nel settore delle PMI, il management aziendale non ha la capacità di individuare e analizzare, all’interno dei processi aziendali, tutte quelle attività sensibili potenzialmente suscettibili di divenire veri e propri fattori di rischio.

L’adozione del modello certificato ex D. Lgs. 231/01, pertanto, non può che rappresentare per le aziende un’ulteriore garanzia dell’organizzazione e della trasparenza del proprio operato mediante l’adozione di precisi modelli organizzativi e di un codice etico comportamentale, la conoscenza del proprio sistema di controllo interno (SCI), la mappatura delle aree a rischio e la valutazione del rischio di infrazione e di reato mediante la definizione e redazione di adeguati “specifici protocolli” di protezione.

Studio Legale avvocati Giangiacomo-Cavallone

 

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